Ad oggi, e ancora fino a che, tra non molto, verrà recepita la Direttiva Europea 2013/59 Euratom, la norma nazionale in vigore che definisce gli obblighi in ordine alla protezione dall’esposizione a Radon, è il Decreto Legislativo 230/95 e s.m.i.
COSA E’ IL RADON
“Il radon o rado (precedentemente chiamato niton o nito) è l’elemento chimico che nella tavola periodica viene rappresentato dal simbolo Rn e numero atomico 86.
Scoperto nel 1899, è un gas nobile e radioattivo che si forma dal decadimento alfa del radio, generato a sua volta dal decadimento alfa dell’uranio. Polonio e bismuto sono i prodotti, estremamente tossici, del decadimento radioattivo del radon.
Il radon è un gas molto pesante, pericoloso per la salute umana se inalato in quantità significative. Uno dei principali fattori di rischio del radon è legato al fatto che, accumulandosi all’interno di abitazioni, è la seconda causa di tumore al polmone, specialmente tra i fumatori[1][2]. Per ciò che riguarda i paesi industrializzati, recenti studi statistici effettuati dall’USEPA (United States Environmental Protection Agency) stimano circa 21.000 morti all’anno negli USA attribuibili al radon residenziale; simili valori sono stati stimati per studi effettuati nell’Unione europea[3].
In particolare, studi statistici effettuati nel 2005 hanno stimato per un campione significativo di paesi europei che il 9% delle morti per tumori ai polmoni e il 2% di quelle complessive per tumori sono attribuibili al gas radon residenziale[4].” FONTE WIKIPEDIA
COME ENTRA IL RADON NELLE CASE
Il Radon è il prodotto di decadimento di altri due elementi radioattivi, l’Uranio e il Torio, che, decadendo, lo producono. A sua volta, il Radon, decadendo, produce altri isotopi radioattivi. La differenza del Radon da tutti gli isotopi che lo precedono e che lo seguono, che è allo stato gassoso, mentre gli altri sono allo stato solido. Quindi il Radon può diffondersi in maniera diversa, può superare barriere porose, transitare attraverso fratture nei muri o nelle fondamenta, percorrere tubazioni. Se nel suo percorso, il Radon arriva in atmosfera all’aperto, il problema non sussiste, si diluisce talmente tanto che non produce danni. Se invece “approda” ad un ambiente chiuso, la sua concentrazione in aria aumenta, arrivando a valori pericolosi per la salute.
LA MISURA DEL RADON E LE SUE CONSEGUENZE
La variabilità della concentrazione in aria (indoor) del Radon è estremamente elevata, e dipende dalla composizione del suolo, dalle pressioni relative tra strati del suolo e pelo libero dell’aria, da temperature, da umidità, dalla ventosità, dalla stagionalità, dall’ora del giorno o della notte. Misurare la concentrazione di Radon istantanea, o anche integrando la sua concentrazione su un periodo di pochi giorni, non è indicativo della concentrazione media annua, che è il parametro definito dalla norma per valutare la salubrità o meno di un ambiente. Gli strumenti di misura possiedono caratteristiche differenti, e usano tecnologie diverse, possono essere attivi (ovvero alimentati ad energia elettrica e con sensori che sfruttano questa energia per ricavare informazioni) o passivi (ovvero costruiti con materiali che, solo per il fatto di essere esposti, registrano delle variazioni che sono funzione della concentrazione di Radon in aria). La scelta della strumentazione da usare, caso per caso, non è banale.
Allo stesso modo, per nulla banale è la progettazione della misura, individuando i punti di misura e la metodologia di installazione degli strumenti di misura, che siano attivi o passivi. Un errore nella progettazione della misura può portare ad una facile sovrastima o sottostima della concentrazione media annua di Radon in aria. Un tale errore comporta, per l’entità che ha la responsabilità di quel luogo (può essere un datore di lavoro se è un luogo di lavoro, o un capofamiglia se è e un ambiente domestico, o un esercente, se è un luogo pubblico), due possibilità: potrebbe essere portato a spendere del denaro inutilmente, in caso di sovrastima, per ripristinare una situazione espositiva sotto i limiti, o potrebbe essere portato la lasciare la situazione così come è, mentre, in caso di sottostima, l’esposizione dei lavoratori o delle persone della popolazione, sarebbero eccessivamente esposte a pericoli di carattere sanitario.
L’ATTUALE NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Al momento, la norma nazionale prevede la necessità di valutare l’esposizione al Radon in questi casi:
a) attività lavorative in tutti i luoghi di lavoro sotterranei;
b) attività lavorative in luoghi di lavoro diversi da quelli di cui alla lettera a) in zone ben individuate o con caratteristiche determinate;
[…]
In pratica la norma attuale prevede che le misure vengano fatte nei luoghi di lavoro interrati o in luoghi di lavoro diversi da quelli interrati, per i quali una specifica commissione (mai riunita) avesse individuato delle specifiche zone o specifici luoghi di lavoro nei quali fare valutazioni di esposizione al Radon indipendentemente dal fatto che fossero sotterranei o meno. La norma pone questo obbligo in carico ai datori di lavoro, che devono avvalersi di laboratori adeguati (non ci occupiamo, in questo frangente, del fatto che non esistano laboratori accreditati, ma solo laboratori che possono dimostrare di essere idoneamente attrezzati). Nel caso venga superato l’80% del livello di azione è necessario che il datore di lavoro rifaccia le misure. Nel caso in cui venga superato il livello d’azione, il datore di lavoro comunica questo superamento agli Organi di Vigilanza, chiama un Esperto Qualificato in Radioprotezione e, entro tre anni, riporta il valore al di sotto del livello d’azione. Se non ci riesce, o chiede all’Esperto Qualificato una valutazione di dose, per capire se l’esposizione rimane al di sotto di uno specifico limite, o tratta i lavoratori come lavoratori esposti, ovvero da un incarico ulteriore e specifico all’Esperto Qualificato, lo comunica all’Ispettorato del Lavoro, classifica i lavoratori, classifica le zone, istituisce un registro di radioprotezione e dispone verifiche periodiche.
Anche solo fino a questo punto si possono ritrovare alcune criticità. Per esempio la relazione che deve essere inviata agli OOV, dovrebbe contenere non solo il risultato delle misure, che è attestato dal laboratorio idoneamente attrezzato, ma anche una indicazione di come è stata progettata ed eseguita la misura. Ma il datore di lavoro non ha le competenze per fare una tale relazione. Inoltre, come dicevamo prima, la mancata o inidonea progettazione della misura potrebbe facilmente portare a una sovra o a una sottostima della concentrazione di Radon in aria, rendendo ogni altra considerazione che ne deriva, errata. A differenza di quello che è richiesto per ogni altro tipo di misura riguardante le radiazioni ionizzanti, l’Esperto Qualificato viene interpellato solo dopo l’effettuazione delle misure stesse. Il professionista, quindi, avrà a disposizione per le sue considerazioni, solo una report indicante dei valori di concentrazione di Radon in aria, senza specifici riferimenti ai punti di misura e alle modalità di installazione (altezze, distanze da parti strutturali, tipo di fissaggio, ecc.), ne’ ai criteri di scelta dei luoghi di installazione o la certezza che siano state seguite correttamente le linee guida appositamente predisposte dalla Conferenza Stato Regioni. In sostanza, una attività specificatamente tecnica viene demandata, compresa delle responsabilità correlate, al datore di lavoro, senza possibilità di connessione con il professionista che se ne occuperà dal momento in cui i valori misurati superano i valori di azione.
Il processo risulta scorrelato, senza certezze sul rispetto di norme tecniche, e senza la possibilità di attribuire vere responsabilità, con una incertezza generale sul risultato. A margine di tutto ciò, si innestano le due norme Regionali specifiche della Puglia e della Campania, che hanno inizialmente esteso enormemente il campo delle necessità, per poi ridurlo parzialmente, lasciando a personaggi senza scrupoli la possibilità di offrirsi sul mercato senza alcuna professionalità, accanto a veri professionisti del settore, competenti, formati e professionali. Allo stesso modo in altre regioni come la Lombardia, viene consentito il recupero di locali interrati o seminterrati, per renderli abitabili, in funzione di una serie di parametri, uno dei quali è la valutazione della concentrazione di Radon. In questo caso, la responsabilità della misura non è più in capo al datore di lavoro, ma al committente e al professionista che presenta la pratica comunale. Sempre in questo ultimo caso, risulta quasi impossibile eseguire misure che abbiano una valenza sia scientifica che formale, perché la loro durata non consente di valutare una concentrazione media annua, come sarebbe richiesto, ma sono tipicamente misure di breve periodo, che variano tra in due-tre giorni alle due settimane (se va bene), restituendo valori per nulla indicativi della grandezza da valutare. Purtroppo, i pochi uffici tecnici comunali che hanno attivato nella loro procedura la richiesta delle misure di Radon, non avendo idea ne’ della norma tecnica di riferimento, ne’ del significato di quelle misure, accettano dei documenti che non restituiscono alcun senso, se non indicativo, a riguardo del rischio da esposizione al Radon nelle abitazioni.
Il complesso dei risultati delle misure così eseguite, concorreranno a comporre un database nazionale che prende il nome di Archivio Nazionale Radon.
LA RECEPENDA NORMATIVA EUROPEA (EURATOM)
Prima di andare oltre con l’argomento proposto, credo sia fondamentale stabilire, senza ombra di dubbio, che per progettare opere edili, e per condurne la direzione lavori, è necessario essere un professionista abilitato, generalmente un ingegnere, un architetto o un geometra, e ne è abilitato tramite un esame di Stato e l’appartenenza a un ordine.
Ora, ricordato quanto statuito da un sacco di norme dello Stato Italiano, proviamo a vedere quali siano le novità della recependa norma europea e quali criticità.
La norma di recepimento oggi in discussione alla Camera, si occupa di Radon al “TITOLO IV SORGENTI NATURALI DI RADIAZIONI IONIZZANTI CAPO I Esposizione al radon”. Come prima cosa viene stabilito che si istituisca un Piano Nazionale Radon, che ha una serie di prerogative e di obiettivo. Genericamente si può sintetizzare con la raccolta di dati, la loro organizzazione, la loro disponibilità ai vari organismi pubblici che ne abbiano bisogno per le attività istituzionali, la produzione di strategie, dei criteri e modalità di intervento per prevenire e ridurre i rischi di lungo termine, dei criteri per la classificazione delle zone delle regole tecniche e dei criteri di realizzazione di misure per prevenire l’ingresso del radon negli edifici di nuova costruzione e degli indicatori di efficacia delle azioni pianificate.
Per individuare le cosiddette Radon Prone Areas, le aree a maggior rischio Radon, le Regioni e le Province Autonome, cominceranno a fare o ottenere misure con le quali definire in quali luoghi la concentrazione media annua di Radon supera il nuovo limite nel 15% dei casi, normalizzando la misura al piano terra. Ora, o le misure verranno fatte al piano terra, oppure non mi risulta ci sia un modo per eseguire una tale normalizzazione. Inoltre, o le misure dureranno un anno, oppure, al pari, non mi risulta che ci siano modi per normalizzare la concentrazione integrata in un tempo inferiore all’anno, ad una concentrazione media annua. E’ probabile che per ottenere una tale mole di dati, le Regioni e le Provincie autonome chiederanno a datori di lavoro, esercenti e, forse proprietari di immobili, di farle in autonomia e di trasmetterle agli organi competenti. In questa modalità, vedo una criticità di non poco rilievo, ovvero l’affidabilità delle misure e l’omogeneità dei criteri, delle metodologie, della strumentazione e dei laboratori che, al momento, ancora non saranno formalmente riconosciuti. Il rischio è di avere una disomogeneità sul territorio sia regionale che, ancor di più nazionale, della affidabilità delle misure e, quindi, dei numeri, andando a imporre, magari, interventi ove non necessari o definendo la non necessità di intervenire ove sarebbe necessario.
La nuova norma prevede due limiti di concentrazione di radon in aria indoor, sia per le abitazioni civili, che per i luoghi di lavoro: 300 Bq/m3 per i luoghi esistenti, 200 Bq/m3 per quelle che verranno costruite dal 2024 in poi, al posto dei 500 Bq/m3 come valore d’azione per i solo luoghi di lavoro interrati, della norma ad oggi ancora in vigore. La possibilità di raggiungere un simile obiettivo può essere assicurata in due distinti modi: o definire a priori, a seconda del tipo di zona in riferimento al rischio Radon, le modalità costruttive secondo standard predefiniti, per tutti i luoghi da costruire all’interno delle Radon Prone Areas, oppure consentire ad un professionista di definire in quali casi e con quali modalità mettere in opera azioni di riduzione dell’ingresso del Radon nei luoghi indoor, prima della loro costruzione. Dal punto di vista del risultato della riduzione dell’esposizione, l’utilizzo di un professionista idoneo, lo massimizza. Dal punto di vista economico, il professionista potrebbe ridurre gli interventi inutili, scoverebbe gli interventi utili che potrebbero comunque essere esterni alle Radon Prone Areas, spalmerebbe un piccolo consto di analisi preventiva su una larga platea, riducendo i costi di opere inutili e riducendo l’esposizione media della popolazione nel suo complesso.
Vengono, poi, definiti gli Esperti in risanamento da Radon. Personalmente, data la premessa a questo paragrafo, ritengo la cosa particolarmente inutile, dato che ogni volta che un intervento tocca parti strutturali o abbia necessità di interventi edili, è già ovvio quali siano i professionisti che vi possono accedere, e infatti la recependa norma li cita: geometri, architetti e ingegneri. La criticità, qui, sta nel fatto che questi stessi professionisti siano indicati come coloro che devono, in qualche modo, definire le modalità di risanamento, non recepirle e metterle in opera. Allo stesso modo di datori di lavoro e proprietari di immobili, viene data loro una responsabilità per la quale si supporrebbero preparati con un corso di 20 ore, quando invece ci sono già professionisti altamente formati e che operano nel settore da anni, che vengono completamente estromessi, probabilmente confondendo la componente di progettazione strutturale e messa in opera edile, con quella di progettazione della misura, sua esecuzione, valutazione dei risultati, indicazione degli obiettivi da raggiungere nel caso di superamento e verifica del loro raggiungimento.
Vengono inoltre indicati i luoghi di lavoro da considerare in ordine alla valutazione del rischio da esposizione al Radon e sono:
a) sotterranei;
b) locali semisotterranei o situati al piano terra, localizzati nelle Radon Prone Areas
c) specifiche tipologie di luoghi di lavoro identificate nel Piano nazionale Radon;
d) stabilimenti termali.
Quindi, il datore di lavoro fa le misure.
Se i limiti non vengono superati, la relazione tecnica diviene parte del Documento di valutazione dei Rischi, e deve fare nuove misure entro 8 anni.
Se i limiti vengono superati, si adopera per riportarli a un livello inferiore ai limiti, con l’ausilio di un Esperto in risanamento radon. Se ci riesce, ne da prova mediante nuove misure, se non riesce chiama un Esperto Qualificato in radioprotezione per fare le valutazioni di dose. Se anche la valutazione di dose indica un superamento, in termini di dose, non di concentrazione media annua di Radon, allora dovrà’ trattare i lavoratori come lavoratori professionalmente esposti, presumibilmente con misure annuali continue, e continua a tentare di ridurre la concentrazione di radon in aria.
Per quanto riguarda le abitazioni private, preferisco riportare interamente il passaggio iniziale relativo all’argomento, contenuto nella relazione di accompagnamento della recependa norma, alle commissioni parlamentari:
“La sezione III Protezione dall’esposizione al radon nelle abitazioni. L’articolo 19 detta misure in materia di radon nelle abitazioni con previsione specifica di interventi nelle aree prioritarie, attuando quanto previsto all’articolo 103, comma 2 della direttiva che prevede che “Nell’ambito del piano d’azione nazionale di cui all’articolo 103, gli Stati membri promuovono interventi volti a individuare le abitazioni che presentano concentrazioni di radon (come media annua) superiori al livello di riferimento e, se del caso, incoraggiano, con strumenti tecnici o di altro tipo, misure di riduzione della concentrazione di radon in tali abitazioni.” Le previsioni di questo articolo, come già specificato nella premessa, sono state adottate a seguito di un’attenta comparazione di tutti gli interessi coinvolti nella materia in esame sulla base della quale è stato trovato un punto di equilibrio tra l’esigenza di garantire interventi volti alla tutela della salute umana e gli altri interessi di settore coinvolti, attraverso un approccio che prevede interventi e azioni mirate, nelle aree individuate come prioritarie, da parte delle regioni e delle province autonome .
La normativa, nel merito, prevede che le Regioni e le Provincie autonome promuovono campagne e azioni, nelle aree definite appunto prioritarie ai sensi dell’articolo 11, per incentivare i proprietari di immobili adibiti a uso abitativo, aventi locali situati al pianterreno o a un livello semi sotterraneo o sotterraneo, a effettuare la misura della concentrazione di radon nell’ambiente chiuso, attraverso i servizi di cui all’articolo 155, comma 3, del presente decreto o intraprendono specifici programmi di misurazione.”
Traducendo, le Regioni e le Province autonome non possono fare nulla, se non promuovere misure e interventi. Si occuperanno, però, di “intraprendere specifici programmi di misurazione della concentrazione di radon nell’ambiente chiuso per il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, provvedendo conseguentemente, se necessario, all’adozione di misure correttive”, che, dato che graveranno sulle casse pubbliche, probabilmente verranno accantonati in attesa di tempi migliori o di un intervenuto oblio delle richieste normative.
Comunque sia, rimane il fatto che per le misure il responsabile è l’Ente Pubblico proprietario, che per effettuarle si serve di un servizio di dosimetria Radon accreditato o, nelle more, che dimostri di essere idoneamente attrezzato, e per il risanamento eventuale utilizzi un Esperto di risanamento Radon, che non sa come sono state fatte le misure, non ha gli elementi per valutarle, non ha esperienza ne’ conoscenze sul Radon e le sue caratteristiche, su come si diffonde, su come viene trasportato, non ha idea di quali possibilità di risanamento possa mettere in atto, però, se facesse tutte queste considerazioni, saprebbe di sicuro come progettare le opere di risanamento e come realizzarle. Poi, però, dovrebbe anche verificare che le opere di risanamento abbiano avuto l’effetto previsto, con nuove misure. Chiedo scusa, ho sbagliato, in effetti sa tutte queste cose, dimenticavo che ha fatto un corso di 20 ore, probabilmente tenuto da un professionista che sa qualcosa di radon, ma che non può fare nulla di quello che e’ richiesto ne’ al datore di lavoro in un luogo di lavoro, ne’ a un esercente in un luogo pubblico, ne’ a un proprietario in un luogo privato residenziale, ne a un geometra, architetto o ingegnere che abbia partecipato la settimana prima, al corso che ha tenuto.
CONCLUSIONI
La nuova norma teorizza molto sulle funzioni di controllo e organizzazione dello Stato e dei suoi organi. Ovviamente porsi un obiettivo alto non è disdicevole, anzi, ma è dal 2000 che le Regioni e le Provincie autonome avrebbero dovuto definire aree a maggior rischio Radon, senza però definire quale sia il cluster minimo entro il quale definire il dettaglio delle concentrazioni medie annue della zona. Il nuovo Programma Nazionale Radon è di difficile applicazione, a meno che, come probabilmente si vorrà fare, non si acquisiscano come misure che compongono le medie territoriali, anche le misure fatte da esercenti, datori di lavoro e proprietari di case, con tutti i limiti di cui abbiamo detto.
I limiti, correttamente, secondo la letteratura scientifica e le indicazioni dei più accreditati enti di ricerca internazionali, scendono a 300 Bq/m3 per i luoghi esistenti e a 200 Bq/m3 per quelli in progetto. Ci sono zone d’Italia in cui sarà difficile stare dentro i limiti, se non spendendo molti soldi per bonificare, ci sono zone in cui tali valori non sono rappresentativi dell’ottimizzazione richiesta dalla direttiva europea, anche in considerazione del fatto che sempre la letteratura scientifica riporta un aumento non inconsistente del rischio di contrarre un tumore polmonare, anche a concentrazioni di 100 Bq/m3. Una modulazione dei limiti in funzione della appartenenza o meno alle Radon Prone Areas, anche se avrebbe “ufficialmente” esposto a valori diversi una popolazione omogenea (quella italiana), avrebbe consentito, nel contempo, di ottimizzare le esposizioni.
Infine, il buttare al vento decenni di esperienza nel campo specifico, accumulati da una categoria di professionisti come gli Esperti Qualificati in Radioprotezione, professionisti che tutte Europa ci ha invidiato per decenni, e che ora lobby di potere hanno deciso sia arrivato il momento di mettere a riposo forzato definitivo, è davvero un peccato.